5 settembre

Te lo volevo chiedere in canoa, in mezzo all’Alster, immersi in un tramonto romantico. Ma, conoscendoti, so che per l’emozione saresti saltata in piedi furiosamente e ci saremmo capottati. E cadere in acqua ad ottobre non è proprio il massimo, vero? Ad Amburgo poi…
Il primo ottobre te l’ho chiesto, perché un anno prima, proprio quel giorno, abbiamo iniziato a condividere questi pochi metri quadrati dopo anni divisi da migliaia di chilometri, uno spazio infinito.
E avrei anche voluto metterti al dito un anello ma, conoscendoti, so che l’avresti dimenticato nel primo bagno, o sul piano, o vicino alla tastiera in ufficio. E poi, non ti ricordi? Mi hai sempre detto “il giorno che mi chiedi di sposarti devi darmi una mucca”….e così ho fatto!



Poi ho aspettato che il 5 settembre 2009, il nostro giorno, arrivasse. E nell’attesa ho pensato a come sarebbe stato. Ti ho immaginata. Tu davanti al municipio in un vestito da sposa non tradizionale, perché devi sempre avere qualcosa che ti distingua dagli altri. Eri stupenda e neppure io ero tanto male nel completo che mi hai scelto – e avresti fatto bene a non fidarti del mio gusto crucco! Tanta felicità, chicchi di riso, sorrisi, la commozione di due mamme e le lacrime delle amiche sognanti, baci e un bicchiere di spumante in mezzo alla strada per ricordarci che siamo persone semplici e tali rimarremo anche nel giorno in cui tutto è permesso, anche se dovessimo fare carriera e guadagnare un sacco di soldi, anche se dovessimo invecchiare.
Poi ho visto la nostra festa, i nostri amici, i nostri cari. Ho in testa un buffet ricco di cose buone e una torta stupenda, lo stupore, la delizia.

Ho risentito le voci, la musica, il rintocco dei bicchieri alzati. Ho visto un bouquet volare tra un branco di femmine scalpitanti, i miei amici darmi una pacca sulla spalla per il bel colpo messo a segno e ho rivisto mio padre orgoglioso.
E poi eccoti, il tuo vestito un po’ sgualcito dalle danze, trascinarmi da parte e piangere di felicità nell’angolo tra la spalla e il collo, bagnandomi come al solito il colletto della camicia e stando ben attenta a non farti vedere da nessuno perché solo le femminucce piangono!

E alla fine di una giornata così carica di emozioni e, diciamocelo pure, estenuante, ho immaginato di vederti seduta al piano a cercare di sbattere fuori gli ultimi ospiti barcollanti a suon di Mozart e Clementi. Solo che hai ottenuto l’effetto opposto e tutti sono rimasti ad ascoltare!


Le prime luci dell’alba, un nuovo giorno di una nuova vita; perché anche se solo ora, dopo un anno, riesci a chiamarmi marito senza quel piccolo tremito interiore e anche se, in fondo, solo di un pezzo di carta si tratta, il “sì” che ci siamo detti un anno fa risuonerà nella nostra testa per sempre!

E ora, Mari, dimmi: ho immaginato tutto giusto?