La giornata è
cominciata con lacrime amare: Davide non può uscire con i pantaloni corti perché
secondo me fa un po’ freddino. A nulla serve promettere che se poi fa caldo può cambiarsi. Lui vuole i pantaloni corti adesso. Ci sono 16 gradi, che
non sono pochi ma non sono nemmeno tanti, niente sole e quel classico
venticello anseatico capace di far venire i malanni in una sola folata.
Alla rabbia del pargolo si aggiunge lo scarso sostegno del marito teutonico che fa fatica a
vedere il problema e con cui ogni mattina da un paio di settimane si affronta
la stessa discussione: “no Sven, non lo fai uscire in maniche corte, almeno un
maglioncino lo porti” - “ma fa caldo!” - “no Sven, sotto i 20 gradi non è caldo!
C’è anche tanta aria, porta la giacca” - “Ma non è inverno!” - “Non mi importa,
se poi piove almeno si copre!”.
E come ogni
mattina, da un paio di settimane, il suo tentativo estremo di far uscire il
bambino come se andasse in spiaggia poggia su un meccanismo psicologico sottile
ma che per un attimo sarebbe in grado di farmi cambiare idea: la diversità (ne
ho già parlato qui). Ma non ci casco e non mi importa se gli altri bambini arrivano all’asilo in
bermuda, canotta e sandali. Il nostro ci va vestito a strati e, quando esce il
sole o la temperatura si fa mite (non dico calda!), allora può spogliarsi.
Tra le proteste i
miei due crucchi alle 8 escono di casa - chissà se poco prima di raggiungere il
cancello dell’asilo Sven toglie almeno la giacchina a Davide per non essere
preso in giro dagli altri genitori... Se solo sapesse che quando vado a
prenderlo per prima cosa, se secondo me fa freddino, gli metto la felpa, anche
se è già in giardino in maglietta da 2 ore!
Perché, in fondo,
Davide è diverso dai bimbi solo tedeschi.
Domenica siamo
andati a fare una grigliata al parco insieme ad altre due famiglie e a due dei
tre bimbi che insieme a Davide formavano il club della salsiccia (ne ho parlato
qui). Di sera Sven mi chiede seriamente in che cosa abbiamo sbagliato. Non
capisco, replico, non mi sembra che si sia comportato male, anzi, era il più tranquillo! Il “problema” è che gli altri due bimbi alla fine
della giornata erano talmente sporchi che potevano essere messi direttamente in
lavatrice mentre il nostro aveva appena una macchia di fango sui pantaloni,
della quale si è lamentato per un bel pezzo. Gli altri appena arrivati al parco
si sono levati le scarpe e le hanno rimesse a forza solo al momento di andare
via. Sono andati in bici, si sono arrampicati, hanno giocato a calcio, sono
andati in giro per tutto il parco scalzi mentre il nostro si è giusto messo i
sandali. E questo è
niente! Se venite a fare un giro in Germania, o se ci abitate ma non vi è
ancora capitato, vi consiglio di entrare un attimo in un parco giochi,
possibilmente se la mattina ha piovuto. La parola “sporco” non avrà più lo
stesso significato, ve lo garantisco.
“Sven, non
abbiamo sbagliato niente. Non dimenticarti che Davide è mezzo hamburger e mezzo
cotoletta” (mi raccomando la e aperta!) - e comunque quando siamo a Milano il
nostro bambino lo si riconosce tra i bimbi milanesi perché è quello più lercio
e vestito peggio, neanche un cavallino o un coccodrillino in vista e nessuna
mamma che lo insegue verbalmente chiedendo di non correre se no sudi, non
sederti per terra se no ti sporchi, non saltare se no sollevi la polvere e
altre richieste di simil sorta.
Addirittura
quando aveva un anno e mezzo e ancora si lasciava convincere a fare “certe”
cose è stato avvistato al parco giochi del parco Sempione a piedi nudi. Mamme, baby sitter e nonne presenti
incredule e schifate. Io invece contenta di avere un bambino diverso. E libero.