Quando Dio pianificò la fine del
mondo, decise di regalare l'ultima estate agli Amburghesi.
Secondo i suoi piani, infatti, la fine
del mondo sarebbe avvenuta in una splendida giornata di sole alla
fine di un'estate meravigliosa. Voleva che gli abitanti della terra,
ormai prossimi alla morte, potessero vivere per un'ultima volta la
stagione migliore dell'anno, abbandonando il sistema solare
abbronzati e felici.
C'era però una parte dell'umanità che
era stata sistematicamente esclusa dalla gioia estiva e a cui Dio
voleva chiedere scusa: gli Amburghesi, appunto, soliti a trascorrere
i mesi estivi musoni e incazzosi al grigio e sotto la pioggia,
marcendosi il fegato nell'agonizzante attesa delle due uniche
settimane di vacanze in esilio al sud.
Inoltre, pensava Dio, sarebbe stato
poco intelligente cogliere gli Amburghesi di sorpresa: nel bel mezzo
del solito autunno perenne, una bella giornata non annunciata avrebbe
fatto capire che qualcosa non andava, con il rischio che si spargesse
il panico.
La cosa migliore, quindi, era far
calare un'estate vera e propria, un'estate senza pioggia né
grigiore, senza vento né freddo ma con temperature stabili sopra i
25 gradi, cielo azzurro e sole. Sole tutti i giorni.
Già se li immaginava, Dio, gli
Amburghesi. Li vedeva riversarsi nei parchi, andare in canoa, godersi
i propri giardini. Avrebbero affollato i Biergarten, le piscine, i
laghi e avrebbero osservato la propria pelle abbandonare l'incarnato
cadaverico e tingersi di vita.
Dopo settimane di scetticismo e
insicurezza, pensava, avrebbero trovato il coraggio di fare shopping
e riempire gli armadi di pantaloni corti, top e sandali nuovi,
dimenticando in fondo alla memoria i maglioni e le felpe.
Forse complice la serotonina post
shopping o i vari Aperol Spriz after work, gli Amburghesi sarebbero
diventati cortesi e sorridenti.
L'idea di far riscoprire agli
Amburghesi la gioia di vivere aiutava Dio ad alleggerire i propri
sensi di colpa – in fondo programmare la fine del mondo non era un
compito molto piacevole.
Dio osservò attentamente le prime
settimane per vedere se tutto andasse come aveva immaginato.
Il primo giorno, era una domenica di
inizio maggio, alle 8 lo sapevano già tutti: ad Amburgo ci sarebbero
stati 26 gradi. Alle 10 erano tutti fuori, chi nel proprio
giardino, chi al parco, chi per strada con la giacca sotto il braccio
camminando con il naso all'insù per godersi la luce. Alle 18, da
Bahrenfeld a Volksdorf, era ormai impossibile trovare una pallina di
gelato.
Per la prima settimana nessuno si
azzardò a lasciare a casa il maglione o a scoprire le gambe, nemmeno
i bambini. Del cambio degli armadi non parliamone nemmeno, mica che
tirare fuori le tre magliette estive avrebbe fatto tornare il brutto
tempo.
La seconda settimana, i più impavidi
erano già in maglietta e pantaloncini corti. La terza settimana in
molti si scoprirono i piedi. La quarta settimana, quando ormai le
temperature medie erano assestate a 25 gradi, gli Amburghesi
iniziarono a sorridersi tra sconosciuti, a salutare negli ascensori e
a chiedere gentilmente permesso se dovevano passare davanti per
strada o uscire dalla Ubahn.
Poi Dio si preoccupò perché l'erba
dei parchi cominciava a ingiallire e per due giorni riportò la
pioggia – mantenendo però le temperature piacevolmente sopra i 15
gradi. Con grande sorpresa del Creatore, la gente non perse né
sorriso né speranza, continuando a uscire vestita leggera.
Tornò il sole, tornò il calore. E
dopo un'altra settimana filata di bel tempo, gli Amburghesi si resero
conto di non avere abbastanza vestiti adatti alle nuove condizioni
atmosferiche estive - normali nel resto del mondo. Così i vari
Esprit, H&M e Tom Tailor vennero presi d'assalto e, per la prima
volta nella storia del commercio anseatico, la Sommer Kollektion
esaurì prima dell'inizio dei saldi.
La mancanza di acqua dal cielo spinse
moltissimi Amburghesi ad avvicinarsi ai canali e così, in
quell'estate verissima, esplose il trend del SUP. Inoltre le piscine
e gli stabilimenti lacustri riuscirono a rimettere in positivo il
bilancio negativo degli ultimi 10 anni.
Dopo un po' Dio
si rese conto che gli Amburghesi erano innamorati della propria città
come mai prima – alcuni passavano il tempo a cantare Hamburg meine
Perle, altri si commuovevano aprendo le tende la mattina, altri
ancora applaudivano le previsioni del tempo alla fine del Tageschau.
Sarebbe stato crudele far abituare gli Amburghesi a tanta bellezza e
felicità, ben sapendo che l'anno successivo non sarebbe stato in
grado di garantire un tempo del genere – a parte che voleva far
finire il mondo.
Cambiò quindi i piani e decise di
rendere ai più l'estate insopportabile, portando le temperature a 32
gradi per due intere settimane.
I primi segni di cedimento si fecero
notare il quinto giorno, quando gli uffici furono attrezzati in
fretta e furia di ventilatori – per alcuni Amburghesi si trattava
di oggetti mai visti in azione prima d'ora al di fuori delle camere d'albergo a
Maiorca.
Dopo 10 giorni di quella che per il
nord Europa potrebbe forse essere definita “afa”, gran parte
degli Amburghesi iniziò a soffrire: notti insonni, perdita dell'appetito, apatia. Casi di ipnosi davanti alle pale del ventilatore,
sventolio ossessivo di tutto quello che si trova - volantini,
riviste, persino le scollature di top slargati. Fino alla perdita del
pudore con nudismo nei parchi, spruzzini sui mezzi pubblici e
asciugamani fradici sulle spalle anche nel più affollato degli open
space.
Quando la Bild se ne uscì verso la
fine di luglio titolando “Estate Sahariana, è emergenza casse di
birra” fu chiaro: la situazione aveva asssunto risvolti
apocalittici.
Se quella del 2018 sia l'ultima estate
dell'umanità non ci è ancora dato saperlo. Le previsioni continuano
a dare caldo e sole ininterrotto per almeno un'altra settimana e la
comunità scientifica non ha ancora lanciato alcun allarme.
Comunque andrà a finire... IO C'ERO!