«Non correre con i Gummistiefel giù per le scale!»
urlo al bambino vedendolo già con la faccia spalmata sull’asfalto.
«Non c’è una parola italiana per Gummistiefel?» mi
sento chiedere in un italiano forgiato da corsi serali alla Volkshochschule (università
popolare n.d.r.) e anni di vacanze fuoristagione in riviera. Lo sguardo di
questo pensionato disinvolto nella sua giacca quattro stagioni è un misto di
gentilezza e sorpresa: probabilmente non se ne sentono molti di turisti del sud
su un’isola in mezzo al Mare del Nord.
Siamo ad Amrum, un giorno qualunque nel glorioso periodo
di ponti tra l’Ascensione e Pentecoste (Himmelfahrt e Pfingsten),
temperature e atmosfera da inizio autunno. Ma in fondo è per questo che si
viene in questi posti: per farsi prendere la mente a schiaffi dal vento e
vedere certi pensieri volare oltre i confini di spiagge lunghissime.
La linea dell’orizzonte è difficile da mettere a fuoco perché là in fondo,
molto in fondo, i colori si sciolgono l’uno nell’altro. Sabbia, cielo e, da
qualche parte, il mare. Finché non si arriva a vedere nitidamente il
bagnasciuga o a toccare l’acqua, non si è del tutto certi che la spiaggia abbia
un limite. Forse il mare è stato disegnato sulla cartina per non farci venire
il dubbio di essere in un luogo senza fine, per darci la certezza che quei
pensieri andranno davvero ad affondare da qualche parte.
«Beh, sì, ci sarebbe», rispondo forzandomi di non parlare
troppo in fretta, «ma è troppo lungo: “stivaletti di gomma”. Ora che si ha
finito di dirlo ha già smesso di piovere!».
Gummistiefel,
come tante altre parole, non è solo il nome per un oggetto ma la descrizione di
una condizione quasi esistenziale, uno stile di vita che si è stati costretti
ad adottare. I Gummistiefel non si comprano perché sono simpatici,
divertenti o perché ricordano un pezzetto d’infanzia. I Gummistiefel si comprano perché servono.
Nelle liste delle cose da procurare ai figli dall’asilo
nido all’ultima classe della scuola primaria c’è una voce che rimane fissa
mentre tutte le altre scompaiono, si evolvono o vengono sostituite da altre: Gummistiefel.
A volte si tratta di un sotto paragrafo del più ampio capitolo Regenbekleidung che include gli altrettanto fondamentali Matschhose
(o Regenhose) – e su questo argomento si potrebbero scrivere
enciclopedie: dal volume 1 gefütter oder ungefüttert al volume 10
Tchibo o Aldi.
Come in tutte le fasi della vita, anche i Gummistiefel
attraversano alti e bassi. Subiscono anni di insulti durante l’adolescenza,
accompagnati da epiteti e referenze più o meno volgari. Se solo quei piedi
ribelli sapessero che dietro alla richiesta di indossare i Gummistiefel
i genitori si stanno aggrappando disperatamente agli ultimi spigoli di
infanzia! In quelli involucri colorati hanno visto crescere i piedini delle
loro creature dal 21 al 38. Scappano in fretta, quelle estremità, e da un certo
punto in avanti affermano la propria indipendenza infradiciandosi in sneakers
di marca e caviglie nude anche a Novembre. Se non fosse per brand furbissimi, che
mettendoli in vetrine virtuali a prezzi esorbitanti, riescono a farli diventare
oggetti di culto per neo-laureati rinsaviti, pronti a calzarne modelli più
sobri e andare alla scoperta dei paesi nordici, prima che i Gummistiefel
trasformino la propria essenza per l’ultima volta, divenendo simbolo di
genitorialità - carrozzine da spingere sotto la pioggia, parchi giochi in
quartieri gentrificati, giardino della villetta di proprietà a 40 minuti di
macchina dal centro.
Per me dire Gummistiefel è più comodo e, ormai, molto
più naturale. Probabilmente lo dico più volte io in un mese che non mia mamma
durante tutta la mia infanzia. In effetti non ricordo di averle mai sentito
dire “stivaletti di gomma”. Anzi, non sono nemmeno sicura di averne mai avuto
un paio. Ha mai piovuto davvero così tanto da renderli esistenziali, a Milano? Forse
non c’è una parola unica perché, di fatto, li si usa talmente poco che per
quelle tre volte ci si può permettere di sprecare il fiato.
Consiglio per i neofiti dei Gummistiefel:
attenzione a non chiamarli “stivaletti per la pioggia”, per via di quel
significato negativamente funzionale. Nel linguaggio comune non si chiamano Regenstiefel,
altrimenti li si metterebbero solo quando piove – o almeno così protesterebbero
molti bambini – e perché si perderebbe la funzione secondaria e più
meravigliosa: camminare per ore su spiagge infinite tra dune d’erba spettinate
dal vento o facendo attenzione a non distruggere i gusci di chissà quali
molluschi infossati per metà nei fanghi del Wattenmeer. I Gummistiefel
sono il simbolo di una giornata di redenzione nella pace infinita del Mare del Nord.
PS: è vero che grazie a Peppa Pig è tornato in auge,
almeno nella mia parlata dove non l’ho mai sentito con questo significato, il
termine “galosce”. Sfido però le altre mamme di bambini tedeschi a non essersi
lasciate blandamente andare fin da subito alla pienezza di significato di Gummistiefel
e, soprattutto, di non aver ceduto ai €12,99 del Deichmann.